domenica 10 maggio 2015

Hiris, tecnologia indossabile per connettere la casa

È tutto italiano il progetto wearable vincitore del premio Smart Home Hackathon, il concorso fra start-up giovanili organizzato da Energy@home.

Un progetto tutto italiano che ha sviluppato un computer "indossabile e tuttofare", in grado di contribuire al risparmio energetico controllando l'accensione di luce e gas nella propria abitazione. Si può legare al polso come un orologio.
Il mondo della tecnologia indossabile ha forse bisogno di idee nuove e prezzi giusti per uscire dai soliti schemi, ed ecco che un po’ di aria fresca potrebbe arrivare proprio dall’Italia. Parliamo di Hiris, il progetto che coniuga i dispositivi indossabili con l’automazione domestica.

Sviluppato da tre start-up italiane, il concorso per giovani inventori del Politecnico di Torino, Hiris permette di connetterti alla tua casa grazie a un braccialetto sobrio e poco ingombrante, indossabile in ogni situazione quotidiana.
Dimentica quindi telecomandi e monitor domotici: da oggi tutti gli apparecchi della casa connessa li controlli con un semplice gesto della mano. Potrai infatti alzare le tapparelle, spegnere le luci, regolare la temperatura interna, comunicandolo all’elettrodomestico di turno con una serie di semplici movimenti preimpostati (come la rotazione della mano).







Articolo de wired.it

sabato 9 maggio 2015

Edyn, per seguire il nostro orto dallo smartphone

Premiato al Ces 2015, permette di misurare umidità, luce, temperatura e condizioni del suolo, monitorando lo stato di salute di piante e ortaggi tramite l’app.


Un kit che aiuta gli agricoltori a coltivare l’orto. Realizzato da Jason Aramburu, fondatore dell’associazione Re-Char nata per aiutare gli agricoltori in Kenya, e premiato dal CES 2015, il kit Edyn si compone di due elementi.

Il primo, Edyn Garden Sensor, permette di monitorare costantemente le condizioni dell'ambiente e del terreno per facilitare la coltivazione dell'orto e intervenire in modo mirato per migliorare lo stato delle coltivazioni. Edyn raccoglie i dati relativi alla quantità di acqua, temperatura e nutrienti del terreno visualizzati tramite l’app. Il dispositivo localizza inoltre la posizione del coltivatore e suggerisce le piante migliori a seconda del clima e delle condizioni del suolo in cui si trova. Il device si può preordinare su kickstarter o direttamente sul sito per 99 dollari e sarà disponibile da maggio.


Il secondo invece, Edyn Water Valve, disponibile per il preordine a 59 dollari e in vendita dalla prossima estate, è uno speciale sensore che consente una gestione personalizzata del sistema di irrigazione. Le piante ricevono acqua soltanto quando ne hanno davvero bisogno. Entrambi i dispositivi si ricaricano a energia solare, dopo essere stati esposti ai raggi del sole per tre ore avranno un’autonomia di almeno due settimane.
Articolo de fastweb

venerdì 8 maggio 2015

Pappagalli dall'indonesia

 

Volatili in bottiglia. E' l'ultima incredibile e crudele trovata di contabbandieri senza scrupoli scoperta dalla polizia indonesiana. 24 esemplari di una ricercata specie di pappagallo,  cacatua dal ciuffo giallo (splendidi animali di cui esiste un commercio illegale molto fiorente), dalle piume bianche e dalla cresta gialla stavano per passare la dogana del porto di Tanjung Perak, a Surabaya, Indonesia (Olycom), compressi in altrettante bottiglie di plastica. La notizia è riportata dal Daily Mail.




Gli uccelli, che sul mercato vengono venduti a poco meno di 900 euro l'uno, erano stati infilati in bottiglie con il fondo tagliato e senza tappo. Una misura minima per consentirne la sopravvivenza. Circa il 40% muore durante viaggi come questi. La polizia li ha liberati e affidati alle cure veterinarie.




Il pappagallo dalla cresta gialla è una specie inserita dal 2007 tra quelle a rischio dall'International Union for the Conservation of Nature and Natural Resources. Si riproduce una sola volta l'anno e depone appena due uova. Gli esemplari di questo uccello sono in diminuzione anche a causa delle deforestazioni: ne rimarrebbero circa 7.000.







Artisolo de ilmessagero.it

mercoledì 6 maggio 2015

Batteria Tesla, invenzione innovativa

La domanda del titolo è lecita e se la stanno ponendo in tanti. Una batteria da tenere in casa che accumula energia solare e la converte in elettrica, per alimentare tutti i nostri gadget, auto elettrica compresa. Si chiama Powerwall, la produce Tesla e l’ha presentata pochi giorni fa in pompa magna Elon Musk, spiegando che la sua creatura “renderà inutili le reti elettriche tradizionali”.
Sarà vero? Forse si, se pensiamo ai luoghi remoti della Terra non ancora raggiunti dall’elettricità. Per le nostre case il discorso è diverso, ma di sicuro Powerwall potrebbe cambiare un po’ le cose. L’ambizione più alta di Tesla e del suo leader è di sganciarci dalle fonti fossili, sfamando il nostro fabbisogno energetico con fonti rinnovabili, nonché fermare l’immissione di gas serra nell’aria: “Sembra folle, ma vogliamo cambiare le infrastrutture energetiche di tutto il mondo”, ha dichiarato Musk.
Prodotta da Tesla Energy, un nuovo ramo dell’azienda californiana, Powerwall Home Battery è un parallelepipedo di 130 x 86 x 18 centimetri e pesante 100 chili. Ha un design sobrio, quasi elegante, con diversi colori disponibili, tanto che la si può appendere al muro di casa senza sfigurare, con l’intervento di un tecnico specializzato (un’ora circa di lavoro).
Contiene una batteria ricaricabile agli ioni di litio che promette di soddisfare le esigenze di un’abitazione tradizionale: collegata ai pannelli fotovoltaici di casa, accumula energia durante il giorno e la conserva, rendendola disponibile in ogni momento, non solo nell’istante in cui viene prodotta. È questo il vero passo avanti proposto da Tesla, la conservazione dell’energia: fino ad ora l’energia solare ottenuta durante le ore diurne veniva immediatamente utilizzata oppure venduta alla compagnia elettrica, per poi essere ricomprata nel momento in cui serviva, con gran dispendio economico e inutili emissioni nocive.
Quanto alle specifiche, Powerwall ha capacità di 7kWh per ciclo giornaliero, ma ne esiste un’altra da 10kWh. La potenza prevede 2kW di lavoro continuo, con picchi da 3,3kW, mentre il voltaggio va da 350 a 450 volt. La prima costa 3.000 dollari, la seconda 3.500. La garanzia è di 10 anni. Tesla prevede la possibilità di installare fino a 9 batterie in una casa che abbia richiesta energetica elevata, per raggiungere un massimo di 63kWh nel caso delle Powerwall da 7kWh, e di 90kWh per quelle da 10kWh. Potrebbe essere il caso di chi deve alimentare un’auto elettrica, oltre ai soliti elettrodomestici di casa esosi, tipo un piano a induzione o un sistema di riscaldamento che faccia a meno del gas.
(Foto:Tesla)
L’accoglienza che sta ricevendo Elon Musk dopo l’annuncio è a dir poso entusiasta. TechCrunch ad esempio ‘vede’ un mondo in cui le case vengono alimentate solo dall’energia solare. Ma in realtà questo potrebbe essere uno scenario del futuro prossimo, non del presente immediato. Anche con una o più Powerwall in casa, per ora continueremmo a consumare energia elettrica non derivata dai pannelli fotovoltaici, soprattutto a causa delle scarse infrastrutture in questo settore; tuttavia vedremmo ridurre di molto i picchi di consumo energetico, che sono proprio quelli che provocano l’aumento dei costi dell’elettricità (e delle emissioni di CO2).
Siamo quindi di fronte a un primo importante passo verso la casa energeticamente autonoma e rinnovabile. Se la Powerwall diventasse davvero un bene di massa, l’approccio di Tesla potrebbe portare a un nuovo sistema di gestione dell’energia,  che verrebbe stoccata nelle batterie domestiche e industriali di tutto il mondo. Per poi redistribuirla a richiesta senza sprechi e senza emissioni.
Per questo motivo Tesla Energy ha anche presentato accumulatori più capienti, i Powerpack da 100kWh per aziende e condomini, che si possono collegare all’infinito. Musk ha anche calcolato che con 160 milioni di Powerpack installati, gli Stati Uniti potrebbero fare a meno delle fonti fossili per produrre energia elettrica, mentre con 900 milioni di questi accumulatori si convertirebbe tutto il pianeta all’energia solare. Con 2 miliardi anche riscaldamento e trasporti si svincolerebbero da carbone e petrolio.
Utopia? “No”, risponde Musk, “è una cosa che sta nelle nostre possibilità, abbiamo già portato a termine imprese del genere”. E non scherza, dato che la piattaforma è open source, per invitare altre aziende a portare avanti il progetto.
Tesla, alla fine, non è che un piccolo pezzo del disegno molto più ampio di Musk (che comprende anche Solar City e Hyperloop), il cui scopo è cambiare il modo in cui otterremo e consumeremo l’energia.




Articolo de wired.it

martedì 5 maggio 2015

Olio di palma

La produzione di olio di palma distrugge le foreste e gli habitat degli oranghi e di altri animali in Indonesia e Malesia. Sono i consumatori che con le loro scelte di acquisto determinano il successo o l'insuccesso di un prodotto. Ecco perché fino allo scorso dicembre le aziende ci hanno lasciato all'oscuro sulla presenza di olio di palma nei prodotti alimentari. Questi gli argomenti centrali della puntata di Report di domenica 3 maggio 2015.



Non tutti prima dell'entrata in vigore della nuova normativa europea sapevano che dietro la dicitura "oli vegetali" in etichetta potesse nascondersi l'olio di palma. Ora ne abbiamo la certezza, dato che le aziende sono obbligate ad indicare gli oli utilizzati per la realizzazione dei prodotti.
Come consumatori possiamo decidere di sfruttare il nostro potere d'acquisto (o meglio, di "non acquisto") e di decidere di non comprare prodotti che contengano olio di palma. L'olio di palma è però presente in numerosi prodotti alimentari lavorati e trasformati, a partire da biscotti e merendine.
Ecco allora che rinunciare all'olio di palma nella propria alimentazione evitando l'acquisto di vari prodotti porta a ripensare alla propria alimentazione in chiave più sostenibile e salutare. Il cibo "vivo e integro" su cui dovrebbe basarsi la nostra dieta non contiene olio di palma. Cereali, legumi, frutta e verdura: ecco quali dovrebbero essere le basi di un'alimentazione rispettosa della salute e dell'ambiente.
Come verificare la sostenibilità delle aziende? Possiamo fidarsi delle certificazioni di sostenibilità per l'olio di palma? Dal servizio di Report emerge che le aziende controllate pagano i loro controllori, i loro certificatori. Questo è il limite di molte certificazioni. Non possiamo dunque avere la certezza che l'olio di palma presente nei prodotti da supermercato, e talvolta anche nei prodotti bio, sia davvero sostenibile.
Purtroppo la deforestazione per la coltivazione di olio di palma avviene senza regole, anche da parte delle aziende che fanno parte di RSPO, la Tavola rotonda per la certificazione dell'olio di palma sostenibile. Se la coltivazione delle palme da olio ha inizio con la deforestazione, non possiamo proprio parlare di olio di palma sostenibile. Ecco una nuova conferma del valore praticamente nullo della certificazione RSPO.
La coltivazione di palme da olio è ben poco sostenibile anche a causa dell'impiego di diserbanti nocivi vietati in Europa, prodotti che fanno capo alla società Syngenta, anch'essa membro della tavola rotonda RSPO. Senza dimenticare la bomba ecologica dovuta alle emissioni di carbonio legato proprio alla deforestazione e alla distruzione delle foreste. Ricordiamo, infine, che l'olio di palma non viene utilizzato soltanto dall'industria alimentare ma anche per la produzione di saponi, cosmetici e detersivi.
 
 Nutrire il Pianeta... con l'olio di palma delle multinazionali? Ecco il paradosso che Report ha portato alla luce in questa puntata. Riflettiamo meglio sulle nostre scelte alimentari e di acquisto.









Articolo de            greenme.it
greenpeace.org

giovedì 30 aprile 2015

Xylella fastidiosa: batterio killer degli olivi

Non esiste una cura per le piante attaccate dal killer che arriva dal Centro America. Ciò che si deve fare rischia di mettere in ginocchio la produzione di olio in Italia, ma a rischio è l'intera zona degli olivi del Mediterraneo. Ecco che cosa è e che cosa fa la Xylella.
La sputacchina (Philaenus spumarius) è uno dei vettori identificati dell'infezione di Xylella.
Migliaia di ulivi eradicati o tagliati e ridotti a tronchi morti. È questo il triste scenario che si prospetta nel Salento, in Puglia, dove un batterio, la Xylella fastidiosa, ha colpito le coltivazioni di olivi. La Xylella, batterio della famiglia delle Xanthomonadaceae, si caratterizza per l'elevata variabilità genetica e fenotipica (ossia l'insieme delle sue caratteristiche osservabili). Se ne conoscono al momento quattro sottospecie che infettano circa 150 diverse piante: la fastidiosa colpisce olivi, viti e aceri; la sandyi punta all'oleandro; la multiplex predilige il pesco, l'olmo, il susino; la pauca preferisce le piante di agrumi e di caffè.

Il meccanismo di attacco è però è simile per tutte le varietà del batterio: si moltiplica nei vasi conduttori dello xilema delle piante ospiti: ostruisce i vasi che trasportano acqua e nutrienti dalle radici al fusto e fino alle foglie, creando una sorta di gel che impedisce il regolare flusso del fluido. Le piante infette così si seccano completamente.
 

Struttura di un albero: 1) midollo, 2) anelli di crescita, 3) xilema o legno, 4) cambio, 5) floema, 6) corteccia. Lo xilema è l'insieme dei tessuti vegetali adibiti al trasporto dal basso verso l'alto di acqua e nutrienti. | WIKIMEDIA COMMONS/UVAINIO

COME AVVIENE IL CONTAGIO?
Il batterio non è sporigeno ma si trasmette attraverso insetti vettori, in particolare quelli della famiglia delle Cicadellidae, che si nutrono succhiando dai vasi linfatici delle piante grazie a un apparato boccale. Nutrendosi da una pianta infetta trasmettono poi il batterio a una pianta sana. L'equipe del dottor Donato Boscia del CNR di Bari (Istituto per la protezione sostenibile delle piante) ha scoperto che nel caso specifico della Xylella che ha colpito gli olivi pugliesi, l'insetto vettore è la Philaenus spumarius, nota come sputacchina.

DA DOVE ARRIVA?
Studiando il DNA del batterio, confrontandolo con una banca dati internazionale, Boscia ha concluso che la Xylella presente in Puglia è uguale a quella in Costa Rica. Un viaggio davvero lungo, se si pensa che l'insetto vettore al massimo vola per un centinaio di metri o poco più, sfruttando i venti.
 

Ingrandimento (8kx) della sezione di un olivo infetto, dov'è evidente la colonizzazione da parte della Xylella fastidiosa.

PERCIÒ NON È STATA LA SPUTACCHINA?
L'insetto è un vettore, non è l'origine. «L'ipotesi più probabile è che la Xylella sia arrivata con una pianta già infetta», spiega Boscia. Alcuni indizi danno credito a questa spiegazione: a Gallipoli, dove nel 2010 si è verificato il primo focolaio del batterio, c'è un grande vivaio che importa molte piante dall'estero, in particolare dall'Olanda; in Olanda l'analisi del Dna di una pianta di caffè malata ha ricondotto a un ceppo endemico del Costa Rica; infine, il Paese del Centro America è un grande esportatore di piante ornamentali (come l'oleandro): 43 milioni nel solo 2012. Ulteriori indagini hanno poi permesso di datare l'infezione (il primo caso nel 2010) e il "paziente zero", un oleandro di provenienza olandese e origine costaricana.

C'È UNA CURA?


Boscia non è ottimista: «Nonostante si conosca il batterio da oltre un secolo, a oggi ancora non esiste una terapia per curare le piante malate. Quelle infette sono perse». Una soluzione però c'è. «Non potendo agire sul batterio si deve agire sul vettore, sugli insetti che lo diffondono, ad esempio con un trattamento insetticida e tagliando spesso l'erba, per eliminare le larve e gli insetti ancora giovani.» Purtroppo è necessario anche un altro intervento: «Occorre ridurre il serbatoio del batterio, e per questo l'unico strumento è l'abbattimento delle piante infette». Qui sotto, in un video di Coldiretti strategie e profilassi per contenere la Xylella fastidiosa.
 


MILIONI DI DANNI... È "EMERGENZA"?
Con oltre 377.000 ettari di terreno coltivati a olivi, la Puglia è la prima regione olivicola in termini di superficie, con una produzione di oltre 11 milioni di quintali di olive all'anno. A tutt'oggi le stime a campione sulle piante malate non riescono a chiarire l'entità del problema: «I casi positivi riscontrati durante i controlli», spiega Pantaleo Piccinno, presidente di Coldiretti Lecce, «sono il 10% delle piante monitorate. Quindi possiamo stimare, forse anche per difetto, che su tutti gli ulivi pugliesi, quelli malati sono un milione». L'abbattimento comporterà comunque un ulteriore calo della produzione di olio, dopo la pessima stagione estiva del 2014, che ha già fatto segnare un calo del 35%. Tuttavia questo è solamente un tassello di un problema più ampio, che riguarda tutte le regioni del Mediterraneo coltivate a olivi, dalla Spagna alla Grecia e per l'Unione Europea siamo quantomeno in "stato di allarme".
 





Articolo de www.focus.it

mercoledì 29 aprile 2015

La mano dell'uomo

 

Questo è il nostro pianeta, così è come l’abbiamo ridotto. Nessuna di queste tragedie ha implicazioni naturali, sono tutte causa dell’inquinamento, voluto dall’uomo.
Animali che non hanno più la loro casa, morenti o sofferenti a causa della grande e piccola incuria, dallo sfruttamento petrolifero fino al semplice gesto di lasciare i rifiuti sulla spiaggia. 
Bambini che nuotano o che si nutrono della sporcizia nei paesi in via di sviluppo, che evidentemente conviene a tutti far rimanere tali. 
Siamo colpevoli, nessuno escluso, perché è troppo facile puntare il dito contro le grandi industrie e poi, nel quotidiano, comportarsi in maniera incivile.

Quelli che vedete sono i disastrosi effetti dei piccoli e grandi gesti di autodistruzione, sono il motivo per il quale dovremmo farci tutti un esame di coscienza e ripartire, da oggi, a vivere più responsabilmente.








Articolo de www. 

martedì 28 aprile 2015

Non tutti sanno...galgo.guard.life

Pochi conoscono cosa si cela a due passi dal nostro paese...quali riti e tradizioni dietro alla caccia alla lepre
Per i galgos la vita è, se possibile, ancora più dura I galgos sono i bellissimi e dolcissimi levrieri spagnoli: un po’ più piccoli e leggeri dei greyhounds, anche loro velocissimi ed utilizzati per la caccia alla lepre.
Anche questi per gli spagnoli non sono cani, ma macchine utilizzate per divertimento.
Gli orrori sulla sorte di questi disgraziati sono molteplici: gettati vivi nei pozzi, impiccati, trascinati dalle auto, abbandonati nelle campagne con le zampe appositamente rotte a così via; parliamo di centinaia e centinaia di cani, non di qualche caso isolato!
Nelle regioni più arretrate – Estremadura, Castiglia, La Mancha – in nome delle tradizioni e della Vergine Maria, alla fine della stagione di caccia il cacciatore “doc” (galguero) deve eliminare il più perfidamente possibile il galgo che non lo ha ingrassato a sufficienza acchiappando lepri o che ormai è troppo vecchio.   Si sorvola sulle condizioni in cui vengono tenuti questi cani.
Naturalmente zero controllo nascite, zero vaccinazioni ecc.
Si pensa che almeno 20000 cani ogni hanno vengano sacrificati, ma potrebbero essere molti di più, non sono cani registrati e vengono fatti riprodurre a dismisura.
Fortunatamente molte associazioni in Europa, ed una anche in Italia, si occupano di salvarne quanti più possibile trovando loro famiglie adottive e di divulgare questi orrori, promuovendo petizioni ed iniziative di protesta e sensibilizzazione.
Purtroppo ci sono molti ed ingenti interessi economici attorno a queste situazioni.
 

lunedì 27 aprile 2015

Acqua, bene non di tutti

Di acqua dolce c'è abbondante disponibilità nel mondo eppure 1,1 miliardi di persone non vi hanno accesso. E' un problema di governabilità, dice l'Onu.


Oggi, nel pianeta, 1,1 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile, mentre per 2,6 miliardi di persone mancano i servizi sanitari di base. Otto milioni di persone l'anno muoiono a causa della mancanza d’acqua e delle malattie legate alla mancanza di servizi igienico-sanitari (3.900 bambini al giorno) e secondo le stime dell'Onu nel 2030 fino a tre miliardi di persone potrebbero rimanere senz'acqua.

Queste cifre, che è bene ricordare nella Giornata mondiale dell'acqua che dal 1992 si celebra ogni 22 marzo, non sono il frutto di una mancanza della risorsa. Il totale dell’acqua dolce disponibile per gli ecosistemi e per gli uomini è di 200.000 km3 d’acqua, che corrisponde all’1% di tutte le risorse d’acqua dolce e solo lo 0,01 di tutta l’acqua della terra. Ma questo 0,01 % sarebbe sufficiente per le esigenze di tutte le popolazioni. Si legge infatti nel rapporto sullo sviluppo umano 2006 del Programma ONU per lo Sviluppo, intitolato “Al di là della scarsità: il potere, la povertà e la crisi idrica globale”: “Il problema con cui ci confrontiamo è soprattutto un problema di governabilità: come condividere l’acqua in modo equo assicurando la sostenibilità degli ecosistemi”.

Nell’Africa sahariana, oltre il 42% della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e solo il 36% dispone di un gabinetto. La situazione più drammatica riguarda le campagne: niente pozzi né installazioni idriche; niente fonti idriche né cisterne per raccogliere l’acqua piovana. L'italia per l'Africa.

Solo poco più di un terzo della popolazione dell’Asia meridionale – secondo dati UNICEF - ha accesso ai servizi sanitari. Oltre la metà della popolazione priva di servizi igienici vive in Cina e in India, determinando un ambiente inquinato da rifiuti organici. Un'altra minaccia per i bambini della regione è rappresentata dalla qualità dell'acqua; pericolose sostanze, come l’arsenico e il fluoro, contaminano le falde acquifere, mettendo a serio rischio la salute di 50 milioni di persone.

In Europa centrale e orientale, le riserve idriche stanno diminuendo come conseguenza dei cambiamenti ambientali, e i sistemi idrici nazionali incontrano grandi difficoltà nel far fronte alla situazione. Inoltre, i gravi squilibri nell'accesso all'acqua e la mancanza di una cooperazione regionale per la gestione delle risorse idriche esistenti, lasciano i bambini più poveri esclusi dai servizi più elementari. Si tratta di Paesi come Azerbaijan, Tagikistan, Macedonia, Turchia, Uzbekistan, Turkmenistan, Polonia, in cui gran parte della popolazione beve e usa l'acqua di pozzi contaminati dai vicini scarichi fognari. Basti pensare che la difficoltà di accesso all'acqua in Europa è causa, ogni anno, della morte di circa 13.500 bambini al di sotto dei 14 anni: di questi, 11 mila sono concentrati nell'Europa centrale e orientale.

In America Latina sussistono enormi disuguaglianze nei servizi idrici e igienico-sanitari sia all'interno che tra i vari Paesi. I bambini delle zone rurali vivono una situazione peggiore rispetto a quelli delle città, e in tutta la regione povertà ed esclusione sociale fanno sì che gruppi indigeni e minoranze si vedano ampiamente negato il diritto a tali servizi.
Se per un cittadino del Nord America o dell’Unione europea, ci sono oltre diecimila metri cubici annui di acqua potabile, per uno del Madagascar (uno dei paesi africani in condizioni migliori) si scende a 3.500, in Giordania a 260, molto meno di un litro al giorno. A questo si aggiunge che nel Medio Oriente, ed in particolare in Turchia, Siria, Isarele, Palestina ed Iraq, il possesso e il controllo dell’acqua rivestono purtroppo, ormai, un valore strategico.

Si tratta, quindi, di un problema da gestire attraverso la politica, che richiede interventi non più rinviabili della comunità internazionale, in termini di investimenti adeguati e di controlli, se è vero – è il rapporto del 2006 dell’ONU ad affermarlo - che la prima causa della scarsità d’acqua è da imputare a “mala gestione, corruzione, mancanza di istruzioni appropriate, inerzia burocratica e scarsi investimenti per costruire competenze umane ed infrastrutture”.   
A Nairobi, in Kenya, i poveri pagano un litro d’acqua dieci volte di più di quanto la pagano i ricchi che vivono nella stessa città. Non avere accesso ai servizi igienico-sanitari in baraccopoli come Libera, nei sobborghi della capitale del Kenya, significa che la gente defeca in buste di plastica e poi le getta dentro fogne a cielo aperto nelle strade, perché non ha altra scelta. Le famiglie più povere del Salvador, del Nicaragua e della Giamaica, spendono in media più del 10% del loro reddito per l’acqua. A Manila, nelle Filippine, l’acqua costa 2,5 volte in più che a New York, ad Accra, in Ghana, quasi tre volte, a Barranquilla, in Colombia, oltre cinque volte.
Nelle aree sottosviluppate, i poveri bevono acqua non potabile - e quindi si registra un’incidenza di malattie molto grave – perché non esistono le strutture adeguate per ottenere acqua pulita, che a loro costa più soldi rispetto agli abitanti dei paesi ricchi.

Esiste, quindi, un solido legame tra sottosviluppo e mancanza della risorsa idrica ed è questo rapporto che occorre rompere. Come ha ricordato in un recente convegno il vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “I poveri del mondo soffrono spesso non tanto per la scarsità di acqua in sé, quanto per l’impossibilità economica di accedervi”.

L’”affare” intorno all’acqua rappresenta un giro economico grande, molto grande. Ma non è la questione del business – pur importante - quella principale. Nella Caritas in Veritate, Benedetto XVI scrive: “Il diritto all'alimentazione, così come quello all'acqua rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare, innanzitutto, dal diritto primario alla vita. È necessario, pertanto, che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni”. Per garantire quest’obiettivo, occorre che ai Paesi poveri siano trasferite le tecnologie e le risorse economiche perché - attraverso gli investimenti necessari - si dotino delle infrastrutture indispensabili per accedere alla risorsa acqua. Solo così, si potrà considerare il bene acqua equivalente ad un diritto fondamentale. 









www.donboscoland.it/

sabato 25 aprile 2015

Il cartellone pubblicitario "che fa acqua da tutte le parti"


Il primo cartellone pubblicitario che trasforma l'umidità in acqua potabile. È stato progettato dall'Università di Ingegneria e Tecnologia (UTEC) di Lima per aiutare la popolazione (e promuovere i propri corsi).

A prima vista sempre un normale cartellone pubblicitario, di quelli altissimi che si vedono a chilometri di distanza, ma che unisce l’utile al dilettevole. È in grado di trasformare l’umidità in acqua potabile grazie a un sistema sviluppato dall’Università di Ingegneria e Tecnologia (UTEC) di Lima con la collaborazione di Mayo DraftFCB, un’agenzia pubblicitaria locale.

Niente pioggia

Lima è la seconda capitale più grande del mondo situata nel deserto, dopo Il Cairo in Egitto, e le sue condizioni climatiche sono molto particolari. Le precipitazioni atmosferiche, sebbene si affacci sull’oceano Pacifico, sono praticamente inesistenti - circa 10/12 mm l’anno. Gli abitanti si adattano sfruttando l’acqua dei pozzi che è, il più delle volte, sporca e contaminata. Poca pioggia, insomma, ma un livello di umidità che sfiora il 98%. Perché non sfruttarlo si sono chiesti i ricercatori dell’UTEC. E così hanno fatto. 
Il sistema è in grado di produrre 100 litri d'acqua potabile al giorno.

Tanta umidità

Il cartellone pubblicitario è costituito da cinque generatori che trasformano l’umidità in acqua che viene successivamente purificata tramite filtri a carboni attivi e lampade UV antistatiche, e raccolta in cinque serbatoi. L’acqua arriva al rubinetto posizionato alla base della struttura per semplice caduta libera. L’eventuale produzione in eccesso viene conservata in serbatoi di riserva.

Acqua per tutti

L’idrocartellone, dalla sua installazione circa tre mesi fa, ha già prodotto 9450 litri di acqua potabile dissetando centinaia di famiglia. La speranza è che una struttura simile sia disponibile, a breve, presso ogni villaggio peruviano (e non solo).


Articolo de focus.it

Because International

Qualche volta la più semplice delle invenzioni può cambiare la vita a milioni di persone. E’ l’esempio della “Scarpa che cresce”, si tratta dei sandali ideati da Kenton Lee che possono essere modificati così da potersi adattare ai piedi di bimbi delle nazioni più povere del mondo, mano a mano che crescono, evitando così che debbano andarsene in giro a piedi scalzi. Queste scarpe possono crescere di 5 taglie e durare così per circa 5 anni.


“Più di 300 milioni di bambini nel mondo non hanno scarpe. E molti di più hanno scarpe che non vanno loro più bene.” I bambini che non possono permettersi un paio di scarpe, costretti ad andare scalzi, sono sensibili a tagli, escoriazioni, parassiti che provocano loro infezioni a partire proprio dai piedi. Il problema delle normali donazioni di scarpe è che una volta che i bimbi crescono, e lo fanno molto velocemente, non possono più indossarle. Questo problema è stato risolto da questi fantastici sandali. Supportate la fanpage di questo progetto su facebook.







www.incredibilia.it